O Giovin Signore, tu che discorri con la prolissità un filosofo tedesco (*) e l’arguzia di un epigrammista, tu che sai evocare emozioni e situazioni con la vis creativa di un poeta, tu che misuri a largh- piccoli passi il nostro mondo commentandone la bellezza contradditoria, tu!
Tu meriteresti che io, indegna Madreh di un rampollo tanto prodigioso, mi prodigassi per apprendere il tuo idioma per poter quindi conversare con te, lasciandomi illuminare dalla tua infinita saggezza di bimbino di ben quasi diciannove mesi.
Ma non capisco una ceppa di quel che dici.
Ergo, Giovin Signore, perdona la mia colpevole ignoranza e abbassati ad apprendere la mia umile lingua.
Nel frattempo, continua pure a leccare la vetrata della porta d’ingresso: mi sembra il minimo per il disturbo che ti prendi.
(Nella foto di repertorio, il Giovin Signore indottrina le masse)
(*) Dico tedesco per spiegare i frequenti NEINNEINNEIN durante le sue conferenze